Leggendo questo quadro ho avuto queste riflessioni. Se a voi ha suscitato altri pensieri, commentate in fondo e condividiamo
Questo dipinto può essere inteso come il manifesto di tutto il primo romanticismo: sembra rappresentare l’uomo solo, con i suoi errori, i suoi dubbi e le sue certezze, posto di fronte alla natura, al mondo.
Caspar David Friedrich (Greifswald, 5 settembre 1774 – Dresda 1 maggio 1840) è stato un pittore tedesco, esponente dell’arte romantica.
Friedrich è interessato, nella poetica del romanticismo, soprattutto al lato mistico della natura. La prima opera che lo rese noto fu la “Croce sulla montagna” o pala di Tetschen, del 1808. Questa pala d’altare è composta unicamente da un paesaggio di montagne, su cui si staglia il segno nero di una croce. Che un paesaggio potesse essere usato come un’immagine religiosa fu una grossa rivoluzione che non poco stupì i critici del tempo. Ma l’arte di Friedrich cerca proprio il sublime, come lo aveva definito Kant: quel sentimento misto di sgomento e di piacere che è determinato dall’assolutamente grande e incommensurabile.
La natura, sede dell’infinito, è la maggiore caratteristica di questo artista, al contrario di altre tendenze romantiche anche tedesche di ispirazione religiosa, quali i Nazareni, che invece perseguirono una immagine della religione e della fede più aderente ai modelli letterari e medioevali. Friedrich, nel cercare Dio solo nella creazione, è sicuramente il più originale, ponendosi come il maggior pittore romantico tedesco.
L’immagine di questo quadro a prima vista ti toglie il fiato e in quel momento non ti chiedi neppure come interpretarlo, perché tu sei lì, non come un’aquila, non come un angelo, ma come un uomo con soltanto un esile bastone per sorreggerti nel difficile cammino della vita.
Ed ecco perché viene detto il viandante (da via e andante, presente di andare). Non è quindi un viaggiatore perché il verbo viaggiare significa avere un percorso già stabilito. Per il viandante, o viatore, o passante, o pellegrino è invece tutt’altra cosa.
Non sappiamo quale sarà la via di quest’uomo solitario che ti trasmette un senso di forza proveniente da quell’alone di luce che gli si getta al petto, per incontrarlo, dal paesaggio circostante e da remote lontananze. Allora, assieme a lui, anche noi siamo chiamati ad assecondare la forza d’attrazione che emana dall’inquietante richiamo di quel panorama.
La prospettiva così invitante, che converge sull’uomo, nasconde qualcosa ai nostri occhi che il nostro cuore è chiamato ad intuire. Quest’uomo è arrivato ad una vetta, forse con tanta fatica, ma in questo momento egli è al di fuori di tutto. Una nebbia o nubi leggere mosse dal vento, come in un mare incantato, velano l’azzurro del cielo e nascondono al suo pensiero quel nostro mondo transepocale e cosmopolita, che continuamente scorre giù nelle valli terrene, colmo di tutti i suoi insoluti problemi, di tutte le lotte che l’uomo ha dovuto affrontare, i cambiamenti, gli amori, gli odi, le fatiche di ogni giornata e le gioie momentanee e sfuggenti.
La sotto c’è una faglia nella civilizzazione che separa uomini pur sempre uguali fra loro. C’è sotto quella nebbia, una corsa al progresso che conduce l’umanità ad una irreversibile distruzione. Un mondo dove chi scrive non si macchia più le dita d’inchiostro e si consumano i sogni in un passatempo tra il reale e il virtuale che si chiama social network. E lì, un minuto non può valere mille anni né mille anni possono valere un minuto, come dice la Bibbia, in un luogo dove tutto è veramente possibile. Ma c’è anche la speranza, che alimenta la vita, soccore chi vuole cooperare al bene ed eternamente combatte chi usurpa la pace.
Ci sono i buoni, che non sono mai soltanto buoni e ci sono i cattivi che non sono mai soltanto cattivi.
C’è la storia di tutti i secoli e di tutti i giorni ed è perciò che quest’uomo, che ha raggiunto il suo obiettivo, non potrà fermarsi. Altre vette si scorgono in lontananza e altre faticose scalate lo attendono così che egli dovrà ridiscendere sotto la nebbia per un cammino che lo porterà ancora e sempre a lottare.
Poi un giorno, l’ultimo della sua vita, si ritroverà sulla cima dell’ultima montagna e guarderà,come ora, verso la luce, ma, in quel giorno, egli si accorgerà di avere il potere sublime di proseguire il suo cammino proprio su quelle bianche nubi verso un cielo divenuto terso come un diamante, verso l’eternità, perché, oltre quella prospettiva, egli troverà una porta, che ora non può vedere.
Quando una persona ama un quadro non dovrebbe mai chiedersi cosa volesse dire il suo autore, perché il quadro, in quel momento, appartiene a chi lo legge, esattamente come accade per un libro. Un’opera d’arte, se è autentica, ha nel suo termine “creare” qualcosa di divino e trasmette sempre più di ciò che era nella mente dell’artista.
Io non conosco il pensiero di Caspar David Friedrich e neanche posso dire di aver scoperto qualche cosa, perché questo è semplicemente ciò che ho sentito ammirando, quale pellegrino di passaggio, quest’opera.
Altri viandanti sosteranno di fronte a questa tela e troveranno le loro risposte in un’immagine che sorpassa ogni confine.